Quando si decide di produrre un album di inediti, almeno che tu non sia costretto da contratti discografici, deve esserci alle spalle un percorso di vita che ti porta a livello energetico, a sentire il bisogno di creare, e di condividere questa “energia incanalata” con il prossimo.
Questo è quello che accade a me, non voglio certo affermare che per tutti è così.
Fu proprio per questo motivo che all’inizio dell’estate del 2007, dopo tanta esperienza live, accumulata con varie formazioni e attraversando generi, giunse il momento di dar vita ad un proprio album di inediti.
Presi in esame ciò che avevo scritto negli ultimi anni, vi assicuro che il materiale era davvero tanto, poi fatta una cernita dei brani più rappresentativi del mio percorso musicale fino a quel momento, cominciai insieme al mio chitarrista e amico Michele D’alessandro, la stesura definitiva, e nel giro di qualche mese, avevamo confezionato i 14 brani che sarebbero poi finiti nel disco.
Il numero di canzoni che compongono il CD avrebbe dovuto essere inferiore, ma non mi decidevo a tagliare brani, erano per me tutti importanti allo stesso modo, poi allora non ero così maniacale sui dettagli come sono ora, e quindi l’impresa fu sicuramente più facilmente realizzabile… oggi non affronterei certo un epopea del genere, o comunque ci penserei due volte prima di buttarmi in un piano folle per quanto esso bello sia.
A quel punto serviva un titolo per l’album, qualcosa che racchiudesse l’insieme di sforzi, privazioni, dedizione, impegno, fantasia, … un titolo che indicasse che quello che rimane di tutto ciò è davvero poco se ci si pensa, un titolo che facesse comprendere al pubblico o all’acquirente, che il CD finito è nulla davanti a ciò che succede per realizzarlo.
L’idea del titolo nacque mentre facevo colazione, lo ricordo come fosse ieri; continuavo ad osservare il pacchetto di biscotti davanti a me, e nel frattempo che ne inzuppavo uno nel latte, feci caso alle “Briciole”, quelle piccole, dolci briciole.
Le Briciole erano ciò che rimaneva finita la colazione e messo in ordine tutto, le “Briciole” sarebbero state le mie 14 canzoni, ovvero quello che rimaneva di tutto il lavoro fatto alle spalle per realizzare il disco.
Il titolo era deciso, ma serviva anche una copertina, delle immagini per il libretto interno, un “concept”, che racchiudesse anche e soprattutto il titolo.
La prima parte a nascere fu la copertina.
Volevo dare importanza alla mia città, Imola, ma anche alla mia casa, perché era li che nascevano i miei brani, era li che ricevevo il calore e l’affetto familiare che mi avevano spinto a credere nel progetto.
Presi quindi la mia macchina fotografica digitale ( allora andavano parecchio di moda, e non c’erano telefonini che facevano foto in HD come ora ), e andai sui colli imolesi, in prossimità del circuito a scattare foto ad Imola, da una visuale non comune, poi nella stessa giornata feci anche le altre foto che avrebbero fatto parte del libretto con i testi delle canzoni, tranne quelle di “E brava Monika”, “Calcio su Skai” e “Esseri unici”, che avevo già selezionato tra vecchi scatti.
Scelte le foto, imparai ad usare Photoshop, un mostro a mille teste che che mi sembrava impossibile domare, ma che alla fine mi aiutò a confezionare un prodotto di cui vado tutt’ora fiero.
Fu con questo bel programma che riuscii a mettere in contemporanea sulla copertina del disco:
- La foto di Imola dall’alto
- ll pavimento di casa mia
- Le mie gambe che camminando si allontanano
- Una Washburn del 1975 Handcraft in Chicago
… e dietro di me, 3 elementi che in quel momento volevano dire tanto:
- un mappamondo, gli occhiali da sole, e il libro “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, che, tradotto, indicavano il mio pensiero: “Amo il mondo in tutte le sue sfaccettature, per questo mi tolgo gli occhiali da sole per vederlo meglio, nonostante sappia che chi comanda la società, cercherà sempre di schiacciare la cultura, perché la cultura rende gli uomini più intelligenti e quindi liberi.”
Per la realizzazione del back del cd decisi di utilizzare una foto scattata nel luogo dove nascevano le canzoni, ovvero la tavernetta di casa.
Gli elementi erano pochi, una sedia, un amplificatore, una chitarra semi acustica, una matita ed un quaderno a copertina rigida, dove scrivevo… e da allora mi porto dietro questo “vizio”; il tutto condito con la medesima idea della copertina, ovvero il cielo….per questo il muro che osserviamo nell’immagine, termina nel nulla, per lasciare spazio all’immenso azzurro e a qualche nuvola, che indica anche i timori per il futuro, ma al contempo la possibilità di viaggiare con la mente oltre i confini prestabiliti dalla società.
Questa immagine con i titoli dei brani compresi nell’album era per me meravigliosa.
L’interno del cd vede una semplicissima foto a delle briciole di pane, mentre il libretto citato prima, termina con una immagine al tramonto, di quello che si vedeva dalla mia camera da letto.
Per concludere il concept, decisi di inserire il tutto in una striscia cinematografica, che dava a mio avviso l’idea di pellicola, perché alla fine vedevo la vita come un film, e forse non solo la mia, ma quella di tutti noi, con alti, bassi e momenti di enorme pathos, degni di una grande colonna sonora, che non dimenticheremo mai.
STICK ( INCENSO AL COCCO )
Il primo brano di un album è sempre il più difficile da scegliere, soprattutto se quell’album è il primo.
Dopo settimane in cui ci ragionavo, la cerchia dei papabili era ridotta a 2/3, che erano ugualmente, musicalmente adatti al ruolo.
Nelle mie scorribande mentali notturne, venne a quel punto in aiuto un pensiero, ovvero quello di dover rappresentare chi ero!
Fu un lampo che accese finalmente la luce per illuminare la via, e scelsi Stick
Perché Stick?
Era un brano fresco, ma che al contempo aveva rimandi al passato, parlava di vita che se ne va, ma anche di quella che dobbiamo goderci sul momento, parlava di scontri generazionali, parlava di amore, di superficialità, di tutto quello che la vita era per me in quel momento e lo faceva sempre con la goliardia di un opera prima.
Come potevo mettere un altra canone, lei era quella che doveva dare il via alla mia avventura discografica.
L’immagine che scelsi per il libretto fu un semplice Stick di incenso, che rilascia quel dolce profumo per tutta la durata della sua breve vita, metafora perfetta del percorso di una vita gioiosa, che affronta il male, ma che cerca di vedere sempre il bello.
HALLOWEEN
Stavo semplicemente giocando con la chitarra, quando mi ritrovai a fare un classicissimo accordo di MI e a spostarlo sul manico dalla prima posizione fino al SOL e poi ancora su di un tono fino al LA… e nella mia testa nel frattempo, giocavo allo stesso modo, pensando alle maschere che le persone indossano per apparire al mondo come meglio credono, e continuare a salire nel loro “gioco delle parti” per raggiungere i loro scopi.
Il mio pensiero si intrecciò ad una vecchia storia intensamente vissuta, che rispecchiava appieno il gioco della mia fantasia, ed inoltre era da pochissimo passato il 31 ottobre: Halloween.
Posai la chitarra, presi il mio quaderno con copertina rigida, la matita, e buttai giù queste parole:
“…la gente giudica, ma in fondo quando può si nasconde dietro la propria maschera, così è libero di avere un alibi…”
Avevo una frase da cui partire.
10 minuti dopo, la melodia principale e la struttura del brano erano già cosa fatta, mentre per il testo mi ci volle qualche oretta in seguito alle revisioni che feci.
Ero un giovincello, e allora mi sembrò una bomba quel brano, e col senno di poi avrei potuto dedicarvi più tempo, ma rimane comunque uno dei preferiti tra coloro che hanno amato “Briciole”.
JIM MORRISON
C’è stato un periodo della mia vita in cui ho ascoltato esclusivamente i DOORS!
Ora, per le generazioni più giovani, sembra di parlare del medioevo, ma per chi fa della musica il proprio lavoro e al contempo stile di vita, la band capitanata da “Mr. Mojo Risin”, è un passaggio quasi obbligato.
La rivoluzione che portarono Morrison e soci al mondo della musica e costume, nella seconda metà degli anni 60, fu talmente importante da considerarli come una delle più importanti band rock di tutti i tempi.
Unirono rock, Jazz, blues, e il frontman fu sicuramente una delle figure più istrioniche della beat generation e non solo. La morte precoce di Jim a soli 27 anni nel 1971, ci privò sicuramente di altri capolavori, ma i loro album rimangono impressi nella storia… e nelle orecchie e nella mente di chi fa musica non possono non fare breccia.
Cominciai ad usare pantaloni in pelle, a farmi allungare i capelli, a condurre uno stile di vita un pò fuori dalle righe, il film di Oliver Stone che narrava la vita di Morrison fu per un adolescente degli anni 90, la goccia che faceva traboccare il vaso della serietà, per condurmi alla pazzia, …ma erano solo gli echi di una generazione e di un modo di suonare passati da tempo, e ben presto la mia mente non si fece più condizionare, anche se, in quel lasso di tempo avevo dato vita a questo brano, in cui usando un linguaggio alquanto colorito, dipingevo un weekend “da sballo”, tra sesso, alcool e rock’n roll.
Rimane a mio avviso uno dei brani più divertenti che ho scritto, e ogni volta che lo canto, mi fa ancora sorridere come la prima volta, riportandomi alla mente gli anni spensierati e i meravigliosi “sixties” che hanno fatto conoscere al mondo la musica di massa e portato i giovani a diventare un punto focale della società contemporanea.
DENISE
Dopo aver finito le scuole superiori, e avendo in mano un diploma di cui sinceramente non sapevo che farmene, anche perché non volevo assolutamente fare il Geometra, mi iscrissi all’università, precisamente al DAMS indirizzo Cinema.
Al primo esame che sostenni, “Storia della Fotografia”, ero teso come una corda di violino, e non sapevo come calmarmi, alchè decisi di uscire nel cortile della facoltà, per respirare aria fresca e aspettare il mio turno mentre ascoltavo musica dal mio IPod.
L’aria già fresca di quella mattina di inizio Ottobre, annunciava l’incedere dell’autunno, e mentre respiravo a pieni polmoni, inalai fumo di sigaretta che mi fece tossire per un minuto buono.
Cercai con lo sguardo la provenienza del fumo e notai alla mia destra a qualche metro da me, una stupenda ragazza dai capelli nero corvino, lisci e lunghi fino a metà schiena, vestita in total black, e chiaramente amante del rock, ravvisabile dai bracciali e dalla maglietta dei Misfits che indossava.
Anche lei come me, aspettava il proprio turno, e io non potei fare a meno di attaccare bottone, e non solo per la bellezza ovviamente.
Io e Denise diventammo subito amici, l’alchimia che si creò era davvero speciale, e ci trovavamo d’accordo praticamente su ogni argomento,… questo mi portò nel tempo a prendere in mano quel famoso quaderno con copertina rigida di cui vi ho già ampiamente parlato, e con facilità dipingere il suo essere attraverso un testo che trasformai in canzone.
Nel testo ci sono tutti gli elementi tipici di quella versione post adolescenziale di Denise:
- la sigaretta, la mancanza di fretta, la tranquillità, lo scontro con il bigottismo imperante, la immensa voglia di VIVERE.
La parte musicale con il suo lento incedere, non fa altro che dar sostegno al testo ed avvalorare la descrizione.
Negli anni post universitari ci siamo persi di vista, anche se ci facciamo i classici auguri di compleanno e per le feste “comandate”, ma nei miei ricordi, rimarrà quella impressa in questo brano, una sorta di fotografia di quel periodo della mia vita, a cavallo tra l’adolescenza e l’età adulta.
Grazie Denise, sei una persona speciale.
E AL MASSIMO LA LUNA
Quando l’amore si impossessa di te, non puoi fare a meno di trasmettere gioia e positività da ogni poro.
Tutti abbiamo provato almeno una volta nella nostra vita, un trasporto così forte da farci mancare l’aria, fregarcene del giudizio degli altri e fare cose folli per la persona che ci ha rapito il cuore.
Quando mi misi a scrivere questa canzone ero appena uscito da una di quelle storie davvero importanti, con uno di quegli amori appena descritto, e invece che decantare il dolore e la nostalgia, puntai all’esatto contrario, ovvero descrivere gli inizi.
Le parole risultano a volte troppo mielose, nel tempo me ne sono reso conto, ma avreste un altro termine adatto per imprimere nella mente di una persona quei mesi magici?
Vi ricordate quella sensazione che vi ha portato a 2 metri da terra, come un uccello che ha appena spiccato il volo? Quella sensazione che vi fa piangere di gioia?
Questo era quello che volevo trovare quando ho immaginato la linea melodica e le parole di “E al massimo la luna”, poi un giro semplice di accordi, perché l’amore è la cosa più difficile da spiegare, ma anche la più semplice da vivere, e il gioco era fatto. Venne davvero tutto naturale, senza troppi sforzi e troppi pensieri, e fu il motivo per cui amai fin da subito questo brano.
Avrò sempre dentro di me il ricordo della fine di quell’amore, come di tutti quelli venuti prima e dopo, ma con questo brano volevo rendere partecipe l’ascoltatore della serenità degli inizi, di ogni inizio, di quella forza che ci spinge ogni giorno a compiere imprese straordinarie, quella forza che possiamo chiamare Amore.
LA SIGNORA IN NERO
Ogni morte colpisce il nostro inconscio, il nostro essere più profondo, la nostra anima, ma alcune dipartite creano un solco più profondo che ti lacera, così come metaforicamente fa la morte con la sua falce, mietendo anime.
L’addio ai nostri cari è purtroppo una componente con cui dobbiamo imparare a convivere, e crescendo insieme alla nostra coscienza, il dolore assume nuove forme, e lascia quella sensazione di vuoto, di mancanza di una parte di noi, una parte che rimane nel ricordo, ma che manca da un punto di vista visivo e tattile.
Una delle morti che più mi ha segnato è stata quella di una persona a me molto vicina, con cui ero in parte cresciuto, perché vicina alla mia famiglia, perché parte della mia famiglia, perché come me aveva un lato artistico molto forte, che per certi versi mi ha trasmesso.
Fu una morte improvvisa, segnata da una malattia che in poco tempo la portò via e nessuno poteva fare nulla per impedirlo.
Da quel grande dolore, sentii il bisogno di realizzare una canzone, una ballad che parlasse del lato solare ma anche un pò malinconico che rappresentava chi non c’era più. Decisi per un intro lungo e musicale che facesse da apripista ad una partenza carica e anche un pò in contrapposizione al cantato, leggero e sentito, per poi esplodere nell’inciso. Il testo era perfetto per una sesura classica ma incisiva.
Il finale richiamava volutamente l’incipit, perchè nella mia idea, nel corso della canzone viene rappresentato il ciclo della vita,… anche per questo nomino la Senna e il Tamigi, fiumi, acqua, e quindi crazione della vita; il brano era praticamente una sorta di arrivederci che stavo dando a chi era “partito” prima di me.
E BRAVA MONIKA
Ogni parola che scrivo, arriva diretta dalla mia esperienza personale, e questo brano non fù da meno. Volevo proporre una fotografia adolescenziale dei tempi scolastici, e mi ispirai direttamente ad una ragazza che frequentava il mio istituto, di cui non farò mai il nome, ma che diciamo era alquanto “conosciuta” e non per le doti scolastiche.
Musicalmente parlando, lo stile musicale che a mio parere si adattava di più ad un brano simpatico e spensierato, era il rock/blues, perchè mi serviva un incedere sicuro e ripetitivo, ma che al contempo desse carica e groove, nacque così un riff che ti entrava direttamente in testa e che ti trascinava con se lungo l’evolversi del brano, considerando anche un testo scanzonato e di impatto che faceva divertire gli acoltatori.
Tra tutti i brani dell’album fu sicuramente quello che richiese meno tempo sia per essere scritto che per la registrazione, e al contempo uno di quei 4/5 più apprezzati a i live.
ORA SCELGO IO
La persona che mi ha aiutato negli arrangiamenti dell’album, ed è stata mia spalla destra per un buon periodo, è come detto più sopra Michele D’alessandro, che nel periodo in cui è nato questo album, era anche mio amico e chitarrista; la breve premessa è per introdurre uno dei 2 brani che a livello musicale non ho scritto io, ma erano farina del suo sacco.
Mentre stavamo lavorando ai brani di Briciole, Michele ( che era un grande ascoltatore di musica ), mi propose un paio di idee che aveva “buttato giù” e che secondo lui erano ottimi spunti su cui costruire altri brani, se non per l’album in questione, sicuramente per futuri progetti. Ricordo bene quando nella nostra saletta di registrazione, spinse invio sulla tastiera del PC, e dalle casse uscì quella botta sonora che era una scarica pura di adrenalina, un riff potentissimo che richiamava immediatamente una melodia e un testo “aggressivo”.
Mi chiese cosa ne pensavo, e se volevo darmi da fare e scriverci sopra qualcosa,… ovviamente ne fui ben felice.
Il risultato finale non lascia molto all’immaginazione, in quanto il testo parla chiaramente di una vendetta dal punto di vista sessuale, su qualcuno che mi aveva profondamente ferito; negli anni ho imparato che la vendetta, il risentimento e la superficialità nel trattare certi argomenti, non portano certmanete a buone cose, e soprattutto a nessuna gioia personale, ma anzi a dispiacersene,… sul momento però il brano ci piacque parecchio, e finì diretto nell’album.
LARA
Ci fu un altro periodo molto toccante a livello personale in quegli anni che precedettero la realizzazione di “Briciole”, e come avrete oramai inteso da questi “piccoli racconti” che vado snocciolando, le emozioni forti, di qualunque tipo esse siano, mi hanno sempre aiutato a realizzare brani o comunque a scrivere le mie impressioni.
Dopo “La signora in nero”, che sapevo avrei sicuramente inserito nel cd, ve ne era un altro di brani che parlava del momento ultimo che tutti noi dovremo prima o poi affrontare, ed era legato ad una morte improvvisa e veloce che toccò particolarmente la mia anima. La dipartita questa volta era arrivata in altro modo, subdolo, difficile da accettare, tramite la decisione di altri che non accettavano che un ragazzo forte e determinato, fosse riuscito ad uscire da un percorso tossico e apparentemente senza uscita. Quel ragazzo aveva fatto grandi sforzi per porsi oltre la banalità e i semplici rifugi del “male di vivere” che attanaglia tanti di noi, ne era uscito a testa alta, ma certi mondi non accettano che tu te ne vada e richiedono il loro dazio.
Nel testo volli trasformare quel ragazzo in una ragazza dal nome “Lara”, perchè non volevo che qualcuno potesse leggervi il collegamento diretto ad una persona a me cara, in quel periodo della mia vita.
La musica venne fuori come se fosse gia scritta, cupa, triste, arrabbiata, potente, tossica, come lo era la storia che andavo raccontando e che avevo vissuto attraverso gli occhi di quel ragazzo.
Era giovane, gli anni di Cristo, la voglia di vivere di un 15 enne, un sorriso che ti ispirava fiducia e serenità, … mi manca.
CALCIO SU SKAI
Un particolare che caratterizza questo disco, è la presenza di diversi brani goliardici, o comunque legati ad esperienze vissute e davvero simpatiche della mia gioventù, questo brano era specchio di uno di quei momenti.
Quando avevo circa 15/16 anni, militavo in una squadra di calcio ad 11 della mia città, e mi divertivo come un matto a correre dietro al pallone, oltre che alle ragazze. Tutti quanti sappiamo, che quelli sono gli anni delle “prime esperienze” e delle cosidette “cotte adolescenziali”; il problema non fu che me ne presi una per una ragazza bellissima, o che quella ragazza fosse fidanzata con uno dei miei compagni di squadra, ma che lei, fortunatamente per me, ricambiava. Ne nacque una ingenua e elettrizzante relazione clandestina, fatta di appuntamenti nascosti, incontri alla luce del giorno ma in luoghi appartati, scambi di messaggi che venivano immediatamente cancellati… il gioco però è bello quando dura poco.
Le cose, vista anche la clandestinità, si incrinarono in fretta, lei si allontanò lentamente, io però ero una discreta testa di cazzo, ed il suo ragazzo lo venne a sapere. Non fu un momento semplice, ma sono qui a raccontarlo, quindi in qualche modo sopravvissi.
Durante quella relazione scrissi diverse “belle parole da innamorato” o meglio da “invaghito”, ma quando finì, decisi che dovevo scrivere filo per segno quello che avevo imparato e che mi era successo. La musica invece era un idea che avevo già pronta, ispirata da un vecchio brano rock, che però vi lascio il piacere di scoprire. Ovviamente se ascolterete il brano, capirete che decisi di unire la situazione sentimentale, al calcio, proprio perchè quell’estate di sotterfugi, era nata tra sguardi complici di due ragazzi, uno che correva in mezzo al campo, l’altra che fingeva di venire a vedere il proprio ragazzo che giocava, ma che in realtà non cercava altro che ricambiare gli sguardi di quel futuro mancato calciatore di periferia.
ESSERI UNICI
“..dai vieni qui, forza sdraiati e scaldiamoci che fuori nevica”, sono le parole con cui ho terminato il testo di questa canzone, perchè a mio avviso racchiudevano il senso dell’amore che volevo descrivere, non l’amore in senso lato, ma quell’amore. La canzone è infatti una dedica d’amore di Michele ( il mio amico e chitarrista di cui vi ho parlato in precedenza ), alla sua ragazza dell’epoca.
Giulia ( così la chiamerò per non dare le vere generalità ), soffriva di un problema di salute con cui doveva convivere e con cui anche Michele doveva ovviamente avere a che fare; mi spiegò la situazione, mi fece ascoltare la musica che aveva scritto e mi misi subito all’opera per la stesura di un testo e una melodia.
Decisi che non volevo appesantire il brano parlando del problmea stesso, ma bensì di guardarlo da un altra prospettiva, ossia della sua unicità, volevo scrivere della forza che ti può dare chi ti ama davvero, della difficoltà di “essere unici”, ma anche della opportunità di dimostrare al mondo che questo non deve essere motivo di disagio, ma bensì punto di forza su cui costruire un futuro radioso e pieno di soddisfazioni. Sfidare e vincere le battaglie giornaliere contro un destino che vorrebbe essere avverso, ma che non può piegarci se la nostra forza di volontà è maggiore.
Una volta realizzato il testo e scritta la melodia della voce, decidemmo di armonizzare la mia voce in certi punti, e di farlo con la voce di Michele, perchè giustamente il “messaggio” o meglio la dedica, era la sua. Inutile dire che colpì e affondò il cuore di Giulia… fui molto felice di essere parte di questa dimostrazione d’amore.
SMONTO L’ALBERO
Questa volta vorrei partire dal titolo, evidentemente legato al Natale, o meglio alla fine delle festività natalizie. La mia idea era quella di scrivere un brano che spiegasse la superficialità delle “feste comandate”, o meglio la piega nefasta che hanno preso nell’ultimo secolo, la trasformazione del sentimento in commercialità, il tutto legato alla medesima sensazione che si prova quando si è “obbligati” a festeggiare compleanni o anniversari; sia ben chiaro che non disprezzo tali avvenimenti, anzi il compleanno o comunque un anniversario di matrimonio o fidanzamento sono momenti unici che scaldano sicuramente il cuore, ma che l’avvento della tecnologia in ogni frangente della nostra vita, ha trasformato in qualcosa di superficiale e da sbattere in vista a tutti e a tutti i costi.
Come detto poche righe fa, il titolo è stato il punto da cui sono partito anche per scrivere il brano, una sorta di ballad, che prendeva ad esame una coppia stanca della quotidianità, che aveva consumato il proprio amore e lasciato spazio agli oggetti e ai regali. Metaforicamente più avanti nel testo scrivo: “…anche quest’anno per Natale non ci sarà la neve, non scende più da un sacco ormai…”, proprio per dire che la neve, simbolo di purezza e sentimenti, non scende più, non c’è più… e poi “…ci consoleremo coi regali, da sempre e per sempre così inutili”, chiaramente un attacco alla comercialità imposta, ma anche accettata, da persone che badano al proprio orticello; piccole soddisfazioni personali e nulla più.
La chiusura del brano però, lascia alla speranza la porta aperta… “…io smonto l’albero, stavolta sciopero, tanto per vivere basta stringersi”; ho sempre cercato di vedere il bicchiere mezzo pieno nella vita, nonostante come noi tutti sia chiaramente a conoscenza della situazione in cui ci troviamo, e questo finale era un raggio di luce nella drammaticità del brano, un pò di calore che richiamava il senso delle feste personali, di quelle comandate, un finale che riportava al centro i sentimenti.
PRONTO DOTTORE?
Arriviamo finalmente a quello che a mio parere e non solo è il brano più bello dell’album, un tango rock, energico e aggressivo, un brano che fa pensare, ragionare, prendere posizioni, discutere… quello che a mio avviso dovrebbe fare l’arte e quindi la musica.
Mi ricordo che stavo guardando uno speciale su un caso di cronaca nera che in quel periodo teneva banco in tutti i telegiornali e talkshow; si parlava di una madre che aveva ucciso il proprio bambino perchè troppo “rumoroso”, un bambino che semplicemente faceva quello che fanno tutti i bambini di questo mondo, giocare, divertirsi, urlare, cominciare a vivere tastando ciò che il mondo offre.
La suddetta madre era, causa al suo alto grado di stress, arrivata a compiere l’estremo gesto nei confronti di suo figlio, senza però ricordare quello che aveva fatto, almeno questa era la versione dei fatti.
Dovevo mettere questa storia in canzone, e decisi che un avvenimento così passionale doveva essere esplicato attraverso il genere musicale più sanguigno di tutti: “Il tango”…non potevo però scrivere “un liscio”, cambiai direzione e scelsi un tango ma rock, poratato all’estremo, con anche un solo di intro. Aggiunsi diversi argomenti, che parlavano di accettazione, di extracomunitari e quindi di immigrazioe, di suicidi legati a persone che nn sopportano lo stress della società e quindi di depressione, e legai il tutto a questa telefonata ripetitiva fatta al medico di famiglia … insomma scrissi un brano totalmente improntato sul sociale che negli anni seguenti mi portò anche parecchie soddisfazioni, fra cui essere paragonato alla poetica di Giorgio Gaber.
Era per me un altro piccolo capolavoro, che non serviva solo a far numero per completare il cd, ma bensì dava un imprinting particolare a tutto il disco, un brano che urlava al mondo: “Faccio musica e creo per farvi divrtire ed emozionare, ma sappiate che se voglio, so fare questo”.
PIOGGIA E NEBBIA
Eccoci giunti al termine di questo breve ma intesno viaggio.
L’ultima canzone di un album è un pò come quella di apertura, deve trasmettere un emozione tale da ricordare la chiusura di uno scrigno dove custodiamo i nostri gioielli. Il brano che, proprio per tale motivo avevo scelto come ultimo, era questa struggente e liberatoria ballad.
Ero stato innamorato di una ragazza che mi aveva segnato particolarmente, l’avevo seguita nelle sue peripezie, nelle sue pazzie, nei suoi giochi da bambina e nei suoi discorsi da donna, insomma, avevo avuto con lei un rapporto pieno e completo, ma come succede per tante storie, eravamo giunti ad un punto di non ritorno e il sesso non era un pagliativo soddisfacente.
Ecco che era quindi giunto il momento di tirar fuori il mio quaderno con copertina rigida, e trascrivere le emozioni su carta; il giro della strofa era semplice, SOL, MI-, DO, RE… una ballad classicissima insomma, le parole uscivano calzando a pennelo anche il bridge ed il ritornello, con quelle immagini che si, erano un pò stereotipate, ma che emozionalemnte erano chiare e rappresentative per tutti: “la notte, lei che ballava lontana e che si divertiva senza di me, io con un bicchiere in mano a guardare il ghiaccio che si scioglieva, mentre pian piano all’orizzonte cominciava a nascere il sole.”
Questa ultima immagine mi diede l’ispirazione per scrivere la frase che chiudeva l’album, chiudeva la canzone, chiudeva definitivamente quella storia, lasciandoci entramabi liberi di volare altrove…
“..e tu adesso con chi sei? Chissà in quale letto stai dormendo?, ma non importa, spengo la luce non serve più.”